Illustrazione del pancreas (Canva FOTO) - biomedicalcue.it
Uno studio rivela le mutazioni e altri aspetti genetici chiave che alimentano la forma più letale di carcinoma pancreatico.
Nel panorama complesso del carcinoma pancreatico, un nome ricorre spesso quando si parla di meccanismi di crescita e resistenza: STAT3. Questa proteina, parte di un sistema di comunicazione cellulare legato a stress e infiammazione, sembra avere un ruolo ben più intricato di quanto si pensasse. Negli ultimi anni, la ricerca ha cominciato a collegare STAT3 non solo alla progressione del tumore, ma anche alle sue prime fasi di sviluppo, quando le cellule iniziano a “organizzarsi” per sopravvivere in un ambiente ostile.
Uno studio pubblicato su Cell Reports ha puntato i riflettori su un elemento preciso di questa rete: l’integrina β3, codificata dal gene ITGB3. La sorpresa è che questo gene non è soltanto un accessorio, ma sembra funzionare come un braccio operativo di STAT3, specialmente nelle situazioni di ipossia o sotto l’effetto di certe citochine infiammatorie. E, fatto curioso, le cellule che riescono ad attivarlo si comportano in modo molto diverso da quelle che non ci riescono.
Dietro questa relazione STAT3/β3 c’è un aspetto ancora più affascinante: l’accessibilità della cromatina. Non tutte le cellule tumorali hanno il “libro” di ITGB3 aperto alla lettura di STAT3. In alcune, le regioni di DNA che servono come potenziatori (enhancer) restano chiuse, impedendo qualsiasi attivazione. In altre, invece, la strada è libera e STAT3 può far partire un vero e proprio programma di adattamento allo stress.
Gli autori hanno identificato una firma genetica di 18 geni, battezzata STRESS, che può distinguere i tumori capaci di reagire a stress e infiammazione da quelli meno “reattivi”. E la cosa interessante è che questa firma non coincide con le classificazioni molecolari tradizionali del carcinoma pancreatico, ma riesce comunque a prevedere quali pazienti hanno una prognosi peggiore.
Gli esperimenti hanno preso il via con un’analisi ChIP-seq su cellule di PDAC (adenocarcinoma duttale pancreatico) esposte a ipossia o a citochine infiammatorie come l’oncostatina M. In mezzo a migliaia di regioni genomiche legate a STAT3, ITGB3 è spiccato come uno dei bersagli più rilevanti: nelle cellule trattate con OSM era addirittura il picco più marcato. L’integrina β3, che forma un eterodimero funzionale con l’integrina αv, è già nota per favorire innesco del tumore, resistenza ai farmaci e metastasi. Un profilo che la rende una sorta di “alleata naturale” di STAT3.
Il quadro si è fatto più chiaro quando sono stati analizzati i dati di singola cellula da pazienti con PDAC. Le cellule con alta espressione di ITGB3 erano molto più comuni in chi aveva ricevuto chemioterapia, un contesto in cui lo stress ossidativo è elevato. Non solo: queste cellule tendevano a esprimere geni legati alla transizione epitelio-mesenchimale e ad allinearsi con il sottotipo molecolare “basal”, più aggressivo rispetto a quello “classical”. In sostanza, l’attivazione di ITGB3 sembra accompagnare un cambio di personalità del tumore verso forme più resistenti e invasive.
Le prove funzionali hanno confermato che senza STAT3 attivo, l’integrina β3 non compare. Sia il knockout genetico di STAT3 sia l’inibizione delle chinasi a monte (JAK1/2) hanno impedito l’induzione di β3 in condizioni di ipossia o stimolazione citochinica. In modelli murini di PDAC, la mancanza di STAT3 o di β3 ha rallentato sensibilmente l’inizio del tumore, allungando la sopravvivenza. Tuttavia, una volta superata la fase iniziale, altre vie molecolari riuscivano a compensare, e le differenze in termini di crescita finale del tumore tendevano a svanire (Cell Reports, 2025).
Il fattore discriminante è risultato l’accesso alla cromatina: solo le cellule con enhancer di ITGB3 “aperti” permettevano a STAT3 di legarsi e avviare la trascrizione. In quelle con cromatina chiusa, un trattamento con l’inibitore delle deacetilasi istoniche vorinostat ha riaperto queste regioni, rendendo possibile l’induzione di β3, ma solo in presenza di STAT3 attivo. Da qui, incrociando dati di accessibilità della cromatina e di binding di STAT3, i ricercatori hanno definito la firma STRESS: 18 geni regolati in modo simile a ITGB3, capaci di predire la capacità del tumore di adattarsi a stress e infiammazione. Nei dati TCGA-PAAD, un punteggio alto di STRESS (o della sottofirma STRESS-Up, con 10 geni) corrispondeva a un rischio di recidiva molto superiore, superando in potere predittivo le classificazioni molecolari di Collisson e Moffitt.