Illustrazione di una cellula tumorale (Canva FOTO) - biomedicalcue.it
E’ stato fatto un altro passo in avanti nel campo dell’oncologia. Si possono distinguere le varie tipologie di cellule tumorali.
Negli ultimi anni, la ricerca sul metabolismo dei lipidi nelle cellule tumorali ha fatto passi da gigante, svelando dettagli che fino a poco tempo fa sembravano quasi inaccessibili. Un esempio emblematico riguarda i cosiddetti lipid droplets, minuscole goccioline lipidiche che si accumulano all’interno delle cellule e che si sono rivelate molto più che semplici “depositi di grasso”. In realtà, sono piccoli hub metabolici, capaci di raccontare molto dello stato della cellula, soprattutto quando si parla di cancro.
La sfida è sempre stata riuscire a osservarle senza stravolgere il contesto biologico. Le tecniche classiche, come la microscopia a fluorescenza con coloranti specifici, hanno offerto immagini spettacolari ma con un problema: richiedono marcature chimiche che possono alterare la fisiologia cellulare. In altre parole, si rischia di vedere bene ma di guardare qualcosa che non è più del tutto “naturale”.
Ecco perché negli ultimi tempi ci si è spinti verso metodiche label-free, ovvero capaci di osservare i processi senza interventi invasivi. Una di queste è la holotomography (HT), che permette di ricostruire in 3D la mappa dell’indice di rifrazione delle cellule. Utile, certo, ma con un limite non da poco: per distinguere realmente i lipid droplets da altri organelli serve ancora fissare soglie arbitrarie, e non sempre funzionano allo stesso modo in contesti diversi.
Qui entra in scena una novità che sembra promettere molto: la polarization-sensitive holotomography (PS-HT). In poche parole, un metodo che sfrutta la birifrangenza intrinseca dei lipid droplets, cioè la loro capacità di modificare la polarizzazione della luce. Questa caratteristica li rende immediatamente distinguibili da tutto il resto, eliminando gran parte delle complicazioni tecniche che da anni frenavano la precisione dell’HT classica.
Lo studio, pubblicato su Advanced Science, ha messo a confronto cellule prostatiche sane (PNT2) e cellule tumorali (PC3) sottoposte a trattamenti con glucosio. La scelta non è casuale: il tumore, seguendo il ben noto effetto Warburg, tende a privilegiare la glicolisi anche in presenza di ossigeno, accumulando lipidi come riserva energetica e materiale da costruzione. Questo comporta un aumento sensibile dei lipid droplets, molto più evidente nelle cellule tumorali rispetto a quelle normali.
I ricercatori hanno applicato la PS-HT, ottenendo mappe tridimensionali ad altissimo contrasto, senza la necessità di fissare soglie complicate e variabili da un campione all’altro. La differenza è emersa chiaramente: le cellule PC3 trattate con glucosio mostravano volumi di lipid droplets fino a tre volte superiori rispetto alle PNT2 sane, con un segnale di birifrangenza circa 17 volte più intenso. Questo non solo conferma la diversa gestione metabolica tra cellule sane e tumorali, ma fornisce un criterio di classificazione quasi infallibile: grazie all’analisi statistica dei segnali ottici, le cellule malate sono state distinte dalle sane con una precisione prossima al 100%.
La cosa davvero interessante è che la PS-HT non si limita a mostrare dove si trovano i lipid droplets, ma fornisce anche dati quantitativi su massa secca, densità, organizzazione molecolare e distribuzione spaziale. In pratica, non si osserva solo “quanto” lipido c’è, ma anche “come” è organizzato. Questo dettaglio diventa cruciale perché i droplets non sono strutture uniformi: possiedono un nucleo lipidico circondato da un monostrato fosfolipidico, con proprietà ottiche che variano tra centro e periferia.
Oltre a ridurre drasticamente la necessità di colorazioni invasive, la PS-HT permette anche di monitorare i cambiamenti metabolici nel tempo, aprendo scenari notevoli per la diagnosi precoce e per lo studio in tempo reale della risposta cellulare ai trattamenti. Se confrontata con la fluorescenza, offre meno problemi di fototossicità e fotobleaching, e soprattutto non altera la fisiologia naturale. Non sorprende quindi che gli autori propongano questa tecnica come nuovo standard per investigare il metabolismo lipidico, non solo in oncologia ma anche in altri campi come le malattie metaboliche o le patologie neurodegenerative.