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Nuovo gene USP13 associato al carcinoma ovarico più letale migliora modelli di ricerca

Illustrazione di un dottore (Canva FOTO) - biomedicalcue.it

Illustrazione di un dottore (Canva FOTO) - biomedicalcue.it

Il gene USP13 apre nuove strade nello studio del tumore ovarico più aggressivo. Una ricerca del 2022 lo dimostra.

C’è un tipo di tumore ovarico che fa davvero paura: il carcinoma sieroso di alto grado. Rappresenta circa il 75% dei casi di cancro ovarico e, purtroppo, ha una prognosi tra le più gravi tra quelli femminili. Da decenni, la sopravvivenza a cinque anni non migliora. È un blocco che fa riflettere e che mette pressione su chi studia questa patologia.

La questione è complicata. Dietro a questo tipo di tumore ci sono tante anomalie genetiche, ma non una mutazione singola che faccia la differenza. Le cellule possiedono un gene USP13 amplificato in modo abbastanza frequente, e sembra che l’enzima che codifica faccia proprio al caso loro: garantisce sopravvivenza, crescita e diffusione del tumore.

Arriva al momento giusto (anche se pubblicata nel 2022) lo studio pubblicato su Nature Oncology da un team guidato da Cecil Han alla Georgetown University, supportato dall’American Cancer Society. Hanno creato un topo con USP13 iperespresso e, boom, tumori simili all’alta forma ovarica umano: metastasi, liquidi, aggressività. Non roba da poco.

La fotografia è nitida: senza USP13, le cellule tumorali muoiono o rallentano. In presenza di USP13, crescono come se fossero favorite. Serve ora sperimentare terapie mirate, magari in combinazione con inibitori AKT, riducendo resistenza e mortalità.

Un modello particolare

Il modello impiegato è un topo ingegnerizzato che possiede un USP13 iperattivo nell’epitelio ovarico (o delle tube), con simultanea perdita di Trp53 e Pten. Risultato? Tumori rapidi e invasivi, asciti emorragiche e metastasi peritoneali, molto simili a quanto si osserva nelle pazienti. Questa combinazione genica (USP13 sopra, Trp53 e Pten sotto) rende il topo un perfetto sosia del carcinoma ovarico umano. 

Il team ha anche isolato le cellule tumorali primarie e le ha trattate con farmaci mirati: l’inibizione simultanea di USP13 e AKT ha ridotto la sopravvivenza cellulare. In altri esperimenti in vivo, gli stessi topi sono diventati più sensibili a chemioterapia con platino e taxani. Questo suggerisce che combinare l’inibizione di USP13 con farmaci standard potrebbe essere vincente.

Illustrazione di un modello (Canva FOTO) - biomedicalcue.it
Illustrazione di un modello (Canva FOTO) – biomedicalcue.it

Un target nuovo per combattere un nemico vecchio

Qual è la scoperta più importante? USP13 non è solo presente nel tumore, ma funge da motore per crescita, metastasi e resistenza ai farmaci. Anche se in altri contesti (come il seno) può avere effetti opposti, nel modello sembra essere piuttosto un alleato dell’aggressività tumorale. Interferire contro (o con, dipende dal caso) USP13 potrebbe davvero rallentare o bloccare la progressione della malattia.

Ecco perché questo modello è prezioso: permette di testare in vivo nuovi farmaci specifici per USP13, verificare combinazioni con AKT o altri pathway, e sperando di individuare una strategia clinica efficace per pazienti con carcinoma ovarico resistente. È un punto di partenza per sviluppare terapie più mirate e meno tossiche, migliorando sopravvivenza e qualità di vita.