Illustrazione di una ragazza malata (Canva FOTO) - biomedicalcue.it
Purtroppo la situazione non è delle migliori, e forse si sta sottovalutando ogni problema legato alle malattie mentali.
Si fa sempre più urgente, in Europa, il bisogno di affrontare seriamente la salute mentale. Non parliamo di una questione che riguarda poche persone o solo la sanità, ma di un tema che tocca tutti, ogni giorno, in ogni ambiente: a casa, a scuola, sul lavoro.
Come riportato dal World Healt Organization (WHO), i numeri messi sul tavolo sono inquietanti. Si stima che una persona su sei nella Regione europea viva con un disturbo mentale. Ma il dato ancora più allarmante è che una su tre non riceve alcuna forma di cura. E se si restringe il campo alla psicosi, la proporzione peggiora: uno su quattro non ha accesso a trattamenti formali.
E non finisce qui. Ogni anno oltre 150.000 persone si tolgono la vita in Europa, quasi 400 al giorno. Il suicidio resta la prima causa di morte tra i giovani dai 15 ai 29 anni. Durante la pandemia, ansia e depressione sono aumentate del 25% a livello globale. E i problemi non riguardano solo la clinica: ci sono carenze di personale sanitario, soprattutto specialisti in salute mentale, e cresce anche l’isolamento sociale, soprattutto tra adolescenti e anziani.
A fronte di questa emergenza, circa il 90% dei 29 Paesi intervistati (Fonte: WHO), ha dichiarato di star lavorando a nuove politiche per la salute mentale, coinvolgendo settori diversi come scuola, servizi sociali, economia e lavoro. Ma una cosa è chiara: per funzionare, queste politiche devono superare le barriere tra comparti e lavorare in sinergia.
È proprio da questa consapevolezza che nasce la “Paris Statement”, un documento che sintetizza le priorità condivise emerse dalla conferenza. La parola chiave? Integrazione. Si propone di allineare responsabilità e risorse economiche tra diversi livelli di governo e settori, coinvolgendo fin dall’inizio le persone con vissuto diretto di disturbi mentali nella progettazione delle politiche.
Una scelta che vuole restituire voce e protagonismo a chi spesso resta ai margini (Fonte: WHO). Altro punto fondamentale: creare luoghi e servizi pubblici che favoriscano le relazioni e combattano la discriminazione. Si chiede il coinvolgimento di scuole, carceri, luoghi di lavoro, media, spazi urbani e servizi di assistenza per mettere in campo iniziative concrete di prevenzione.
Come riportato sul sito della WHO, tra i dati più recenti emersi dal summit, c’è una fotografia precisa della sofferenza sociale in atto: l’11% degli adolescenti manifesta comportamenti problematici legati ai social media; il 25% delle ragazze di 15 anni dice di sentirsi sola quasi sempre; e un anziano su quattro sopra i 60 anni riporta solitudine persistente. È una solitudine diffusa, che non guarda l’età, e che si sta insinuando in molte pieghe della società.
Il Direttore regionale WHO dell’Europa, Hans Kluge, ha ricordato che la salute mentale non può essere solo affare dei ministeri della salute, ma una responsabilità collettiva. E la Francia, che ha dichiarato il 2025 “anno della salute mentale”, vuole fare da apripista. Il ministro Yannick Neuder ha ribadito che senza collaborazione tra settori non ci sarà nessun cambiamento duraturo: serve un impegno che attraversi scuole, luoghi di lavoro, comunità e istituzioni a ogni livello (Fonte: WHO).