Differenze genetiche svelate tra forme diverse di autismo: nuove piste per diagnosi mirate

Autismo e nuove scoperte (Depositphotos foto) - www.biomedicacue.it
Un team internazionale individua differenze genetiche che spiegano perché l’autismo viene diagnosticato in età diverse.
Negli ultimi anni l’autismo è diventato uno dei temi più discussi nel campo delle neuroscienze. La ricerca, che un tempo si concentrava quasi esclusivamente sui comportamenti osservabili, oggi guarda sempre più in profondità, esplorando ciò che accade nel DNA. Gli scienziati stanno cercando di capire se esistano tracce genetiche capaci di anticipare la diagnosi, offrendo così la possibilità di intervenire prima e in modo più mirato.
Ma la sfida è tutt’altro che semplice. Parlare di autismo significa parlare di una costellazione di condizioni, non di una sola. Ogni individuo vive la propria esperienza in modo unico, con difficoltà e risorse differenti. Non sorprende, quindi, che l’età della diagnosi possa variare così tanto da persona a persona. In certi casi arriva nei primi anni di vita, in altri molto più tardi, quando le differenze diventano più evidenti.
Proprio questa varietà ha spinto diversi gruppi di ricerca a confrontare i profili genetici di persone diagnosticate in età diverse. L’obiettivo è capire se alcuni geni influenzino il momento in cui i sintomi si manifestano o la loro intensità. È un terreno di frontiera, dove biologia e psicologia si incontrano, cercando di decifrare un puzzle complesso che ancora sfugge a una spiegazione univoca.
Ed è in questo contesto che arriva una scoperta importante. Un nuovo studio internazionale ha individuato differenze genetiche che potrebbero spiegare perché alcune diagnosi avvengono precocemente e altre no. Un risultato che, secondo gli esperti, potrebbe aprire la strada a diagnosi più accurate e a un modo completamente nuovo di leggere l’autismo.
Quando i geni influenzano il tempo della diagnosi
La ricerca, pubblicata su Nature e coordinata da Varun Warrier dell’Università di Cambridge, ha coinvolto anche l’Università di Roma Tor Vergata, come riporta Ansa. Gli studiosi hanno analizzato i dati di quattro grandi gruppi di persone con diagnosi di autismo, confrontandoli con quelli di due studi genetici precedenti. Incrociando le informazioni, sono riusciti a spiegare circa l’11% delle variazioni relative all’età della diagnosi, un dato che apre nuove prospettive di indagine.
Secondo quanto emerso, in alcuni individui i sintomi come ansia, iperattività e difficoltà sociali tendono a comparire già nella prima infanzia e a restare stabili nel tempo. In altri, invece, i segnali diventano più marcati durante l’adolescenza, suggerendo percorsi biologici differenti dietro la stessa definizione clinica. Una scoperta che invita a ripensare la complessità dell’autismo, non come un’unica entità, ma come un insieme di traiettorie diverse.
Verso una comprensione più profonda e personalizzata
Per gli autori dello studio, questi risultati rappresentano un passo concreto verso diagnosi più personalizzate. Oggi il termine “autismo” abbraccia un ventaglio molto ampio di condizioni, descritte principalmente attraverso comportamenti osservabili. Capire il ruolo della genetica permetterà di individuare sottotipi più precisi, rendendo la ricerca e le terapie sempre più su misura.
In prospettiva, l’idea che il patrimonio genetico possa incidere sul momento della diagnosi cambia il modo stesso di guardare all’autismo. Non più solo come un disturbo comportamentale, ma come il risultato di interazioni complesse tra geni, ambiente e sviluppo. Una visione che, se confermata da nuovi studi, potrebbe rivoluzionare la pratica clinica e il modo in cui comprendiamo le origini di questa condizione.