Illustrazione di un tumore al colon (Canva FOTO) - biomedicalcue.it
Questa particolare tecnica potrebbe essere rivoluzionaria, grazie ad una terapia che riaccende la risposta immunitaria.
Per chi si trova ad affrontare un tumore al colon in fase avanzata, le opzioni terapeutiche non sono molte. E per i pazienti con carcinoma colorettale metastatico MSS, cioè con stabilità dei microsatelliti, le cose si complicano ancora di più. Si tratta di una forma particolarmente insidiosa, che rappresenta circa il 90% dei casi e che, purtroppo, è spesso resistente all’immunoterapia.
Eppure, proprio da questo scenario difficile è arrivata una notizia incoraggiante. Durante il congresso ASCO 2025, come riportato da Biospace, un team internazionale ha presentato risultati davvero promettenti su una nuova combinazione di immunoterapici: botensilimab e balstilimab. Il primo agisce come una sorta di “interruttore” che risveglia i linfociti T e li guida verso le cellule tumorali. Il secondo, invece, serve a mantenere accesa questa risposta, impedendo al tumore di nascondersi di nuovo.
I primi dati indicano una risposta clinica duratura in pazienti che avevano già esaurito le altre terapie. Non si tratta solo di rallentare la malattia, ma in certi casi anche di ottenere regressioni significative. E il tutto con un profilo di tollerabilità accettabile, senza decessi legati al trattamento e con effetti collaterali gestibili.
Ma la vera novità è che questa risposta non si vede solo alle immagini: la si coglie già nel sangue, sotto forma di marcatori immunitari precoci. Il corpo, in pratica, inizia a combattere prima ancora che lo si veda alla TAC.
Il cuore dello studio è botensilimab, un anticorpo anti-CTLA-4 potenziato, progettato per fare qualcosa che finora sembrava impossibile: attivare i linfociti T in tumori “freddi”, cioè quei tumori che normalmente ignorano gli attacchi del sistema immunitario. Questo farmaco, secondo quanto riportato da Agenus (30 maggio 2025), non solo stimola la risposta immunitaria, ma agisce anche su cellule dendritiche, macrofagi e Treg intratumorali, modificando profondamente l’ambiente del tumore. A questo viene affiancato balstilimab, un inibitore di PD-1, che serve a mantenere la risposta attiva e duratura.
I dati parlano chiaro: in uno studio condotto su 123 pazienti con MSS mCRC senza metastasi epatiche attive, il trattamento ha mostrato risposte cliniche durature anche in soggetti molto pretrattati (terza linea e oltre). Di particolare interesse, la sottopopolazione di 37 pazienti in quarta linea o più, cioè con nessuna opzione terapeutica standard rimasta, ha risposto positivamente al trattamento, con un profilo di sicurezza giudicato gestibile. L’attivazione dei T linfociti è stata osservata già entro due settimane dall’inizio della terapia, e l’espansione di queste cellule è proseguita nel tempo.
Una delle scoperte più interessanti, come riportato da Biospace, riguarda proprio ciò che avviene nel sangue dei pazienti. Analizzando i campioni prima e durante la terapia, i ricercatori hanno notato l’emergere precoce di segnali immunitari predittivi: piccole tracce di attività del sistema immunitario che sembrano anticipare il successo terapeutico. Questo aspetto, se confermato su scala più ampia, potrebbe permettere in futuro di identificare subito chi risponderà alla cura, ottimizzando i trattamenti e riducendo inutili esposizioni per chi non trae beneficio.
Dal punto di vista tecnico, la strategia ha richiesto un approccio di profilazione immunitaria avanzata, grazie alla collaborazione tra Leuven University Hospitals, KU Leuven, Omniscope e Agenus. La capacità di rilevare segnali immunologici prima delle immagini radiologiche apre nuovi scenari anche nella gestione clinica.