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Pandemia di aviaria: dove potrebbe nascere un focolaio e quali condizioni possono farlo diventare crisi globale

Pandemia di aviaria: dove potrebbe nascere un focolaio e quali condizioni possono farlo diventare crisi globale

Influenza aviaria e rischio pandemico: cosa indicano i dati su H5N1 e H9N2, perché la “panzoozia” aumenta le occasioni di salto di specie, quali scenari modellistici ipotizzano i ricercatori e quali misure di sorveglianza e prevenzione restano decisive, con focus sull’Italia.

Perché l’influenza aviaria è tornata al centro dell’attenzione scientifica

L’influenza aviaria è una malattia virale degli uccelli causata da virus influenzali di tipo A. Alcuni sottotipi ad alta patogenicità, in particolare quelli appartenenti alla famiglia H5, hanno mostrato negli ultimi anni una capacità di diffusione ampia e persistente, con impatti rilevanti su fauna selvatica, allevamenti e filiere agroalimentari. La notizia che rilancia il tema si colloca in questa traiettoria: un lavoro di modellazione condotto da ricercatori dell’Università di Ashoka (India) discute uno scenario di “spillover” (passaggio animale-uomo) seguito da trasmissione interumana efficiente, e identifica condizioni operative in cui il controllo dei primi casi diventerebbe difficile.

Il punto critico non riguarda la semplice presenza del virus negli animali, evento già osservato e documentato, bensì l’eventualità di una variante capace di sostenere una catena di contagio tra persone. Su questo asse si muovono le principali valutazioni di rischio: la probabilità assoluta resta oggetto di stima e sorveglianza, mentre il potenziale impatto sanitario e socioeconomico impone preparazione e sistemi di allerta rapidi.

Che cosa significa “panzoozia” e perché cambia la valutazione del rischio

In epidemiologia veterinaria, il termine panzoozia descrive una diffusione su vasta scala geografica che coinvolge molte specie animali, con un’estensione assimilabile al concetto di pandemia nella popolazione umana. Nel caso dell’H5N1, diversi enti e gruppi di sorveglianza hanno evidenziato la presenza del virus non soltanto in uccelli selvatici e pollame, ma anche in mammiferi selvatici e domestici, con episodi di spillover ripetuti in contesti differenti.

La rilevanza della panzoozia per la salute pubblica deriva da un principio tecnico: più specie coinvolte e più eventi di trasmissione tra ospiti diversi aumentano le “occasioni” biologiche in cui il virus può acquisire adattamenti favorevoli all’infezione dell’uomo. Questo non equivale a prevedere automaticamente una pandemia, ma spiega perché la sorveglianza si concentra su genomica virale, recettori, dinamica di infezione nei mammiferi e qualità del contatto uomo-animale.

In Europa, nel periodo tra inizio settembre e metà novembre 2025 sono stati segnalati 1.443 casi di HPAI A(H5) negli uccelli selvatici in 26 Paesi europei, un livello molto elevato rispetto all’anno precedente.

H5N1: caratteristiche operative e differenza tra rischio veterinario e rischio umano

H5N1 è il sottotipo più citato quando si parla di potenziale rischio pandemico da aviaria. Dal punto di vista operativo, è utile distinguere tre piani:

1) Impatto sugli uccelli e sugli allevamenti. Nei volatili, soprattutto con varianti ad alta patogenicità, l’infezione può generare mortalità elevata e richiede misure drastiche (restrizioni, biosicurezza, eventuali abbattimenti selettivi), con conseguenze dirette su produzione e commercio.

2) Spillover verso i mammiferi. L’identificazione del virus in mammiferi segnala che esistono vie ecologiche e comportamentali che permettono il salto di specie. Il valore informativo più alto emerge quando si associano i casi a dati genetici e a catene plausibili di trasmissione.

3) Infezione nell’uomo e trasmissione interumana. Le infezioni umane confermate da H5N1 restano relativamente rare rispetto alla diffusione animale, ma hanno storicamente mostrato una severità importante. L’Organizzazione Mondiale della Sanità pubblica periodicamente tabelle cumulative dei casi confermati: l’aggiornamento del 19 dicembre 2025 riporta i totali dei casi confermati dal 2003 al 2025. :contentReference[oaicite:1]{index=1}

I casi umani: cosa dicono i numeri e perché i conteggi sono difficili

I dati OMS sui casi umani confermati si basano su diagnosi di laboratorio e notifiche ufficiali, quindi descrivono la parte emersa della sorveglianza. Questo approccio garantisce qualità e comparabilità, ma può sottostimare le infezioni lievi o asintomatiche in gruppi esposti (allevatori, addetti alla macellazione, veterinari), soprattutto quando l’accesso ai test è limitato o quando la priorità clinica si concentra su sindromi respiratorie severe.

La difficoltà non è soltanto numerica. Serve comprendere quale via di esposizione abbia generato l’infezione (contatto con pollame, ambienti contaminati, lattazione bovina, fauna selvatica) e se esistano segnali di trasmissione da persona a persona sostenuta. Su quest’ultimo aspetto, le valutazioni ufficiali in diversi contesti hanno ribadito che il rischio per la popolazione generale è considerato basso, pur richiedendo monitoraggio continuo in ambiti professionali e nelle aree con focolai animali.

Negli Stati Uniti, ad esempio, un filone di attenzione nel 2024–2025 ha riguardato episodi di spillover verso bovini da latte e la necessità di sorveglianza mirata; autorità sanitarie e veterinarie hanno sottolineato la sicurezza della fornitura di latte commerciale grazie alla pastorizzazione e alle pratiche di scarto del latte da animali infetti.

Lo studio indiano: modellazione dello spillover e soglie operative

Il contributo che ha acceso il dibattito mediatico si basa su un esercizio di modellazione: ipotizza un evento iniziale di trasmissione uccello-uomo in un’area ad alta densità avicola, seguito da una variante con capacità di trasmissione interumana efficiente. Il lavoro è stato pubblicato in forma peer-reviewed e discute la modellazione di uno spillover potenziale di H5N1, indicando l’Asia meridionale o sud-orientale come area plausibile per un innesco in ragione di fattori demografici e di contatto uomo-animale.

Gli autori utilizzano un impianto di simulazione agent-based (BharatSim), in cui una popolazione “sintetica” riproduce in modo realistico caratteristiche essenziali di contatto (famiglie, luoghi di lavoro, mercati, reti sociali). Una parte della simulazione viene ambientata nel distretto di Namakkal, nello Stato indiano del Tamil Nadu, noto per una produzione avicola su larga scala. Nello studio e nelle ricostruzioni divulgative collegate, Namakkal viene descritto con migliaia di allevamenti e decine di milioni di animali, quindi come contesto ad alto potenziale di esposizione per lavoratori e filiere locali.

Che cosa significa “soglia 2–10 casi” nella pratica

La soglia richiamata nella notizia (da 2 a 10 casi) va interpretata come indicazione di dinamica in uno scenario ipotizzato: quando una catena di contagio interumana entra in reti più ampie dei contatti primari e domestici, l’individuazione e l’isolamento diventano rapidamente più complessi. In un modello agent-based, il passaggio dai contatti diretti a contatti terziari rappresenta un punto di cambiamento: richiede contact tracing più esteso, misure di comunità e, nei casi peggiori, strumenti di contenimento su scala maggiore.

Un elemento tecnico importante è il ruolo del tempo di rilevazione. Se la diagnosi arriva quando l’infezione ha già raggiunto segmenti di rete poco osservabili (amici di amici, contatti occasionali), le stesse misure (quarantena, isolamento, restrizioni locali) perdono efficacia o richiedono intensità superiore.

Limite centrale: l’ipotesi di trasmissione interumana efficiente

La modellazione assume un virus capace di trasmettersi tra persone con efficienza elevata. Questo presupposto non descrive necessariamente la situazione corrente di H5N1, ma serve a esplorare “cosa succederebbe se”. Per la lettura corretta, occorre tenere distinti due livelli:

Scenario biologico: quali mutazioni o riassortimenti renderebbero plausibile la trasmissione sostenuta tra esseri umani.

Scenario operativo: cosa accade a sistemi di sorveglianza e risposta quando l’evento si verifica in un’area con alta densità di allevamenti e contatti umani frequenti.

Abbattimenti, quarantene, vaccinazioni: misure e vincoli reali

Le misure descritte nello studio e riprese dalla notizia appartengono al repertorio classico di controllo delle zoonosi e delle infezioni respiratorie: abbattimento degli animali infetti o esposti, quarantena, vaccinazioni (quando disponibili e utilizzabili), limitazione dei movimenti, riduzione dei contatti. In un articolo evergreen serve chiarire perché queste leve non funzionano sempre allo stesso modo.

Abbattimento del pollame: efficacia condizionata dalla tempistica e dalla sorveglianza

L’abbattimento è una misura veterinaria che mira a rimuovere la sorgente di virus da allevamenti o aree circoscritte. È efficace quando:

a) il focolaio viene individuato rapidamente;

b) la tracciabilità delle movimentazioni (animali, mezzi, persone, materiali) è accurata;

c) la biosicurezza riduce la probabilità che il virus sia già uscito dall’unità produttiva.

Se lo spillover umano avviene prima dell’identificazione veterinaria, l’abbattimento resta utile per ridurre la pressione di infezione, ma non elimina il problema di sanità pubblica.

Quarantena: equilibrio tra contenimento e rischio domestico

La quarantena è efficace quando interrompe la catena di contatti prima che l’infezione si espanda nella comunità. Tuttavia, in nuclei familiari numerosi o in abitazioni con spazi ridotti, l’isolamento “intra-domestico” può risultare difficile, con aumento del rischio per conviventi. Per questa ragione, la logistica (strutture dedicate, supporto sociale, capacità di testing) diventa parte della misura, non un dettaglio accessorio.

Vaccinazioni: disponibilità, target e tempi

In caso di pandemia influenzale, l’impatto della vaccinazione dipende da tre fattori: disponibilità di un vaccino adeguato al ceppo circolante, tempi di produzione e distribuzione, priorità dei gruppi bersaglio. Nelle fasi precoci, le strategie di immunizzazione mirata (operatori esposti, sanità, filiere essenziali) tendono a precedere la copertura di massa, perché la capacità produttiva iniziale è limitata.

H9N2: il “ceppo minore” sotto sorveglianza e i motivi tecnici dell’attenzione

Accanto a H5N1, la notizia richiama H9N2, un sottotipo spesso classificato come a bassa patogenicità negli uccelli ma con una storia di infezioni umane documentate. A fine ottobre 2025, durante il Pandemic Research Alliance International Symposium di Melbourne, il microbiologo clinico Kelvin To (Università di Hong Kong) ha sottolineato che H9N2 riceve meno attenzione di quanto meriti, pur essendo tra i ceppi aviari più frequentemente associati a infezioni umane.

Secondo quanto riportato in sedi divulgative scientifiche, dal 1998 H9N2 ha causato 173 infezioni umane, in prevalenza in Cina.

L’attenzione verso H9N2 non nasce da allarmismo mediatico, ma da considerazioni virologiche: virus influenzali possono scambiare segmenti genomici (riassortimento) quando infettano lo stesso ospite, e alcuni sottotipi possono fungere da “serbatoio” di componenti genetiche che facilitano l’adattamento all’uomo. La sorveglianza quindi include anche ceppi che, nell’uccello, sembrano meno devastanti rispetto agli H5 ad alta patogenicità.

Italia: sorveglianza, focolai e ruolo degli Istituti Zooprofilattici

In Italia, la sorveglianza dell’influenza aviaria si appoggia a una rete strutturata di laboratori e servizi veterinari, con un ruolo centrale degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali. L’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie pubblica aggiornamenti periodici sulla situazione epidemiologica HPAI, con mappe e tabelle sui focolai e sulle positività nella fauna selvatica; gli aggiornamenti di dicembre 2025 riportano documentazione tecnica dedicata alla stagione 2025/2026. :contentReference[oaicite:7]{index=7}

Nel testo giornalistico riportato dall’utente, viene citata una stima operativa di circa 20 focolai nel periodo di picco stagionale, con una situazione definita sotto controllo sul piano gestionale. Questo dato è coerente con l’impostazione di sorveglianza stagionale e con l’importanza attribuita agli uccelli selvatici come fattore di rischio per gli allevamenti, soprattutto nelle fasi di migrazione e svernamento. :contentReference[oaicite:8]{index=8}

Che cosa osserva la sorveglianza: animali, interfacce e segnali di salto di specie

Un sistema moderno di sorveglianza non si limita a contare i focolai nel pollame. Integra:

  • monitoraggio negli uccelli selvatici, per comprendere introduzioni e circolazione ambientale;
  • indagini negli allevamenti, per intercettare rapidamente aumenti di mortalità o cali produttivi compatibili;
  • valutazione dell’interfaccia uomo-animale, con attenzione ai lavoratori esposti e a eventuali sintomi respiratori in cluster professionali;
  • sequenziamento e analisi genetica, per identificare cladi, genotipi e mutazioni di possibile rilievo.

Questo impianto serve a ridurre i tempi tra evento e risposta: meno giorni passano tra infezione animale, rilevazione e contenimento, minore è la probabilità che si creino finestre favorevoli allo spillover.

Prevenzione negli allevamenti: biosicurezza e gestione della densità

Le misure preventive citate nella notizia italiana richiamano strumenti noti nella sanità veterinaria: regolamentazione degli accasamenti, fermi programmati, riduzione della densità, limitazione del contatto tra pollame e uccelli selvatici attraverso strutture chiuse o protette, procedure igieniche per personale e mezzi. Queste misure funzionano perché riducono la probabilità di introduzione del virus e, in caso di introduzione, rallentano la propagazione tra capannoni e aziende.

Un punto spesso sottovalutato riguarda la “catena logistica”: camion, gabbie, attrezzature, mangimi, lettiere e personale itinerante rappresentano vettori indiretti. La biosicurezza efficace richiede quindi protocolli verificabili, formazione, controlli e una cultura organizzativa che riduca le deviazioni operative.

Mercati, filiere e contatti: perché i modelli scelgono contesti ad alta intensità di interazione

Lo studio indiano ambienta la simulazione in un distretto con alta produzione avicola anche per un motivo metodologico: dove esiste un’intensa interazione quotidiana tra animali, lavoratori, trasporti e vendita, l’eventuale spillover ha più possibilità di produrre contatti primari e secondari in tempi brevi. Questa logica è simile a quella che guida molte analisi di rischio sulle zoonosi: non basta la presenza del patogeno, serve una configurazione di contatti che permetta al virus di “trovare” ospiti successivi.

Nel caso dei virus influenzali, la componente respiratoria e la possibilità di trasmissione tramite secrezioni rendono cruciali gli ambienti chiusi, la densità, l’assenza di dispositivi di protezione e la presenza di sintomi non riconosciuti nei primi giorni.

Che cosa rende un virus influenzale un candidato pandemico

Perché un virus influenzale animale diventi un problema globale nell’uomo, in genere devono allinearsi più condizioni:

  • adattamento ai recettori umani e alle vie respiratorie superiori;
  • capacità di replicazione efficiente nell’ospite umano;
  • trasmissione sostenuta tra persone, con un numero di riproduzione efficace sopra la soglia di crescita;
  • assenza di immunità pregressa nella popolazione, o immunità insufficiente a frenare le catene;
  • finestra di rilevazione sfavorevole, con casi iniziali poco riconosciuti o confusi con altre sindromi.

La notizia richiama una mortalità potenziale molto elevata in scenari estremi; è importante distinguere la letalità storicamente osservata in casi confermati e severi dai valori che emergerebbero in una pandemia con ampia quota di infezioni lievi o non diagnosticate. Proprio questa distinzione spiega perché le istituzioni insistono su sorveglianza e dati di qualità: senza una base epidemiologica robusta, anche numeri reali rischiano interpretazioni errate.

Prospettive operative: che cosa conta nelle prime settimane di un eventuale focolaio

Uno scenario di emergenza respiratoria da influenza aviaria richiede decisioni rapide su tre linee, tutte dipendenti dalla qualità della sorveglianza:

1) Individuazione precoce. Test mirati nei gruppi esposti e nei contesti con focolai animali, con capacità di sequenziamento e condivisione rapida dei dati.

2) Contenimento proporzionato. Isolamento dei casi, tracciamento dei contatti, misure locali calibrate sulla trasmissibilità effettiva e sulla gravità clinica osservata, evitando automatismi non supportati da dati.

3) Protezione delle filiere essenziali. Linee chiare per allevamenti, trasporti, macellazione e veterinaria, con dispositivi di protezione, procedure di lavoro e comunicazione del rischio coerenti.

Il quadro delineato dallo studio indiano e dalle valutazioni degli enti veterinari converge su un punto: la finestra utile è breve quando una trasmissione interumana efficiente entra in reti di contatto dense. Questo rende determinanti la preparazione tecnica e la stabilità dei sistemi di sorveglianza, molto più della capacità di reagire quando i casi sono già numerosi.