Malattie genetiche rare: tipi di mutazioni, diagnosi e terapie innovative

Le malattie genetiche rare sono patologie causate da alterazioni del DNA che colpiscono un numero molto limitato di persone. La loro bassa frequenza non riduce però la complessità della diagnosi e delle cure.
Comprendere cosa si intende per malattia genetica rara, quali sono le sfide della diagnosi e quali strumenti offre oggi la ricerca scientifica è fondamentale per inquadrare un ambito della medicina che, pur riguardando pochi pazienti, rappresenta una delle frontiere più avanzate della scienza biomedica.
Tipologie di mutazioni e meccanismi di trasmissione
Le alterazioni del DNA che determinano le malattie genetiche rare sono mutazioni che interrompono il normale funzionamento dei geni.
Queste mutazioni possono assumere forme diverse. In alcuni casi, si tratta di modifiche minime, in cui una sola base azotata del codice genetico viene alterata: sono le cosiddette mutazioni puntiformi, che, per quanto microscopiche, possono avere conseguenze devastanti. La fibrosi cistica, per esempio, è causata proprio da una mutazione puntiforme in un gene chiamato CFTR, essenziale per il corretto funzionamento delle vie respiratorie e digestive.
Esistono poi mutazioni più ampie, come le delezioni, in cui una porzione del DNA viene cancellata, oppure le duplicazioni, dove invece una sequenza genetica viene erroneamente copiata più volte. Questi errori nel genoma possono compromettere la produzione di proteine fondamentali per la crescita, il metabolismo o la funzione muscolare. È il caso, per esempio, della distrofia muscolare di Duchenne, una patologia rara e gravissima che deriva dalla delezione di parti del gene DMD.
Alcune malattie rare derivano invece da alterazioni più complesse, che coinvolgono interi cromosomi. Si parla allora di riarrangiamenti cromosomici, come le traslocazioni, le inversioni o le delezioni cromosomiche. Questi difetti strutturali possono interessare decine o centinaia di geni, generando quadri clinici articolati, spesso multisistemici, come nella sindrome di Prader-Willi.
Tuttavia, la presenza di una mutazione non implica necessariamente che essa sia stata ereditata. Esistono infatti mutazioni che compaiono per la prima volta in un individuo, in assenza di una storia familiare della malattia. Sono le cosiddette mutazioni de novo, che avvengono casualmente durante la formazione delle cellule riproduttive o nei primi stadi dello sviluppo embrionale. La sindrome di Rett, per esempio, colpisce prevalentemente le bambine ed è quasi sempre dovuta a mutazioni de novo nel gene MECP2, senza che i genitori ne siano portatori.
Esistono anche mutazioni che non riguardano le cellule germinali (quelle coinvolte nella riproduzione) ma che si manifestano nel corso della vita in cellule somatiche, come avviene in alcune forme rare di tumori genetici. In questi casi, l’alterazione non viene trasmessa ai figli, ma può comunque dare origine a malattie genetiche somatiche, di origine sporadica.
Quando una mutazione è ereditaria, la modalità con cui si trasmette può seguire diversi meccanismi. In alcuni casi, è sufficiente ereditare una sola copia alterata del gene per sviluppare la malattia: si parla allora di trasmissione autosomica dominante. In altri casi, invece, la patologia si manifesta solo se entrambe le copie del gene, una da ciascun genitore, risultano mutate: è il modello di trasmissione autosomica recessiva. Esistono poi malattie legate al cromosoma X, che colpiscono prevalentemente i maschi, poiché nelle femmine la seconda copia del cromosoma X può compensare il difetto.
Questa varietà di mutazioni e meccanismi di trasmissione rende ogni malattia genetica rara un caso a sé. Non esistono due storie cliniche identiche, nemmeno quando la mutazione coinvolge lo stesso gene. Ed è proprio questa unicità a rappresentare la sfida più grande per la diagnosi e la cura.
Diagnosi, odissea, impatto sociale
Per chi è affetto da una malattia genetica rara, la diagnosi è spesso un punto di arrivo, dopo anni di incertezze, di visite specialistiche, di conclusioni errate. Viene chiamata “odissea diagnostica” non a caso: in media, una persona con una malattia genetica rara può impiegare dai quattro ai sei anni per ottenere un nome preciso per la propria condizione. In alcuni casi, questa ricerca può durare decenni, o non arrivare mai a una risposta definitiva.
Ciò che rende così complessa la diagnosi di queste malattie non è solo la loro rarità, ma anche la variabilità dei sintomi. Una stessa mutazione genetica può dare manifestazioni cliniche diverse da persona a persona. Inoltre, molti di questi sintomi sono aspecifici: ritardo nello sviluppo motorio, difficoltà respiratorie, problemi metabolici, sintomi neurologici. Segni che, presi singolarmente, possono essere attribuiti a una miriade di altre patologie più comuni. Questo spesso conduce a diagnosi parziali, che affrontano il sintomo senza riconoscere la causa genetica sottostante.
Negli ultimi anni, però, le tecnologie di sequenziamento del DNA hanno aperto nuove prospettive. Tecniche come il Next Generation Sequencing (NGS) permettono oggi di analizzare in tempi rapidi l’intero esoma o addirittura il genoma completo di un individuo, andando a caccia delle mutazioni responsabili della malattia. Nonostante questi progressi, l’accesso a tali esami rimane disomogeneo, spesso limitato a pochi centri di eccellenza o subordinato a percorsi burocratici complessi. Eppure, per molte famiglie, conoscere il nome della malattia è già un traguardo enorme. Significa dare un senso a una storia clinica fatta di domande senza risposta.
Ma la diagnosi, per quanto importante, non risolve il dramma quotidiano. Le malattie genetiche rare hanno un impatto devastante sulla vita delle persone e delle loro famiglie. La gestione della malattia richiede un impegno costante: terapie sintomatiche, assistenza sanitaria multidisciplinare, ausili per la mobilità, supporto psicologico. L’isolamento sociale è una delle conseguenze più frequenti, sia per il paziente che per i caregiver, spesso costretti ad abbandonare il lavoro per dedicarsi all’assistenza a tempo pieno.
A questo si aggiunge la frustrazione di convivere con una condizione per la quale, nella maggior parte dei casi, non esiste una cura definitiva. Molti pazienti si affidano a trial sperimentali, progetti di ricerca, terapie compassionevoli, nella speranza che la scienza possa offrire loro un’opportunità di trattamento. In questo scenario, il supporto degli Enti impiegati nella ricerca scientifica contro le malattie genetiche rare diventa fondamentale, non solo per garantire assistenza, ma anche per far sentire meno soli coloro che vivono ai margini della medicina ufficiale.
Ricerca e terapie: le innovazioni nel campo delle malattie genetiche rare
Negli ultimi decenni, la ricerca scientifica sulle malattie genetiche rare sta attraversando una vera e propria rivoluzione grazie alle terapie avanzate, che puntano a intervenire sulle patologie, andando ad agire direttamente sul DNA.
La terapia genica è l’emblema di questa trasformazione: consiste nell’introdurre nelle cellule del paziente una copia funzionante del gene difettoso, o correggere direttamente la mutazione responsabile. Si tratta di un lavoro di altissima precisione, che richiede vettori virali e una comprensione dettagliata dei meccanismi cellulari. Ma nonostante le difficoltà, ormai da diversi anni si stanno registrando risultati concreti.
Nel 2016, la terapia genica sviluppata per l’ADA-SCID — una forma gravissima di immunodeficienza congenita — è stata approvata in Europa con il nome di Strimvelis. È stata la prima terapia genica ex-vivo a ricevere un’autorizzazione regolatoria, un traguardo che ha dimostrato come fosse possibile non solo correggere geneticamente le cellule di un paziente, ma anche farlo in modo sicuro ed efficace. Da quel momento, il campo della terapia genica ha visto un’espansione senza precedenti. Nuove terapie sono state sviluppate per la leucodistrofia metacromatica, per la distrofia muscolare di Duchenne, per la talassemia. Alcune sono già disponibili per i pazienti, altre sono in fase avanzata di sperimentazione clinica.
Accanto alla terapia genica, stanno emergendo approcci altrettanto innovativi, come le tecnologie di editing genetico come CRISPR, che promettono di correggere mutazioni con una precisione chirurgica. La possibilità di trattare in modo efficace le malattie genetiche rare non è più fantascienza.Nonostante questi progressi, restano grandi ostacoli da superare. I costi delle terapie genetiche sono ancora altissimi, sia per lo sviluppo che per la somministrazione, e la sostenibilità economica di questi trattamenti pone sfide etiche e politiche complesse.
In questo contesto, il sostegno alla ricerca scientifica assume un ruolo concreto e determinante. Un modo semplice per offrire il proprio supporto è, per esempio, quello di devolvere il 5×1000: una scelta che permette di destinare una quota dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) a favore di enti che svolgono attività di interesse sociale, senza alcun aggravio per il contribuente. Per conoscere in anticipo l’entità della propria donazione attraverso questa modalità è possibile leggere l’approfondimento dedicato a come si calcola il 5×1000 disponibile sul sito di una realtà da sempre impegnata nella ricerca sulle malattie genetiche rare come Fondazione Telethon.
Grazie alle tante opportunità disponibili, contribuire è davvero un gesto alla portata di tutti e significa rendere possibile un lavoro che ha ricadute reali: ogni studio finanziato, ogni laboratorio che prosegue, ogni terapia che arriva ai pazienti è il risultato diretto di un supporto reso stabile nel tempo.
La ricerca sulle malattie genetiche rare non rappresenta quindi soltanto una sfida scientifica, ma anche un banco di prova per il modo in cui la società sceglie di prendersi cura dei più fragili.