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Allerta massima per questi alimenti: è come bere un litro di petrolio | Ministero della Salute disperato: una bomba contro la salute

Cibo e pericoli (Pixabay foto) - www.biomedicalcue.it

Cibo e pericoli (Pixabay foto) - www.biomedicalcue.it

Sostanze sospette nei cibi di tutti i giorni: un’indagine riaccende il dibattito sulla sicurezza alimentare, cosa è emerso. 

Negli ultimi anni si parla sempre di più di quello che finisce nei nostri piatti. Non solo per una questione di gusto o di dieta, ma perché ci stiamo accorgendo che magari certe cose, dentro gli alimenti, proprio non dovrebbero esserci. Tra etichette poco chiare e ingredienti “nascosti”, diventa sempre più difficile sapere davvero cosa stiamo mangiando.

Molte delle analisi che stanno uscendo ultimamente mettono in luce qualcosa di scomodo: anche gli alimenti più comuni possono contenere tracce di sostanze piuttosto “insolite”. Parliamo di prodotti che compriamo tutti — senza pensarci due volte — e che fanno parte della nostra dieta quotidiana. E invece, ecco che salta fuori qualcosa che non ci aspetteremmo nemmeno nei cibi più elaborati.

Il punto, però, è che queste “tracce” non arrivano lì per caso. C’è tutta una catena di produzione, lunga e complicata, dove basta un passaggio opaco per cambiare tutto. Un ingrediente usato all’inizio del processo può ritrovarsi alla fine, trasformato e, peggio ancora, non dichiarato. Succede anche nei prodotti animali, dove il problema parte da quello che gli animali stessi mangiano.

E mentre le leggi esistono, certo, non sempre sembrano riuscire a stare al passo. Le norme europee parlano chiaro, ma tra le righe c’è spazio per troppe eccezioni. E alla fine il consumatore si ritrova con la solita etichetta poco trasparente, senza sapere davvero da dove arriva ciò che ha nel carrello. O nel piatto.

Cosa si sa e perché preoccupa davvero

Questa sostanza non è una novità: è già da tempo sotto osservazione per i suoi effetti sul sistema nervoso e sull’equilibrio ormonale. La legge europea (nella direttiva 2009/32/CE) ne consente l’uso entro certi limiti — ad esempio 1 mg/kg negli oli, oppure 10 mg/kg in farine defatate — ma a quanto pare la realtà è un po’ più sfumata. A settembre scorso, l’EFSA ha deciso di rivalutare la sostanza perché l’esposizione alimentare sembrava… beh, più diffusa di quanto si pensasse.

Nel frattempo, in Francia è stata presentata una proposta di legge per obbligare i produttori a dire chiaramente se lo hanno usato. Alcuni esperti suggeriscono anche di passare a tecniche di estrazione più pulite — che già esistono, tra l’altro. Ma finché questo non sarà obbligatorio, il rischio resta: quello di portare a tavola qualcosa che, in teoria, dovrebbe rimanere nel laboratorio chimico.

Galline in allevamento (Pixabay foto) - www.biomedicalcue.it
Galline in allevamento (Pixabay foto) – www.biomedicalcue.it

Emerge qualcosa di scomodo dai nuovi test

Tutto parte da un’inchiesta condotta da Radio France e riporta da Il Salvagente. Hanno analizzato 54 alimenti diversi — roba che si trova tranquillamente nei supermercati — e in 25 di questi sono saltati fuori residui di esano. È un solvente di origine petrolifera, usato soprattutto per estrarre oli da semi come girasole, soia e colza. Ma non finisce lì: è stato rilevato anche in margarine, burro, uova e carne di pollo. Insomma, un bel po’ di roba.

Quello che sorprende di più è che questa sostanza potrebbe arrivare anche da ciò che mangiano gli animali da allevamento. Ad esempio, se una mucca ingerisce mangimi trattati con esano, questo può poi finire nel suo latte — e da lì, nei formaggi, burro e simili. Una catena silenziosa, ma che lascia tracce. E sì, purtroppo anche alcuni prodotti “bio” non ne sono rimasti fuori, nonostante il regolamento biologico lo vieti chiaramente.