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Corsa contro il tempo per fare scorta di olio d’oliva: in Italia si ferma la produzione | È un disastro senza precedenti

Olio EVO (Depositphotos foto) - www.biomedicalcue.it

Olio EVO (Depositphotos foto) - www.biomedicalcue.it

Il settore dell’olio d’oliva italiano in piena crisi: tra immobilismo e minacce esterne si va incontro a tempi molto bui. 

L’olio d’oliva, diciamolo, non è solo un ingrediente: è cultura, identità, storia. In Italia è praticamente un’istituzione, presente in ogni cucina, in ogni ricetta di famiglia. Però, dietro a quell’etichetta dorata e a parole come “extravergine” o “100% italiano”, c’è un sistema che sta cedendo sotto il peso degli anni.

Per anni abbiamo dato per scontato che la qualità bastasse. E in effetti, per un pò, ha funzionato. Ma oggi il mercato gira in un altro modo: conta la forza, gli investimenti, la strategia. Gli altri Paesi, soprattutto chi ci sta vicino nel Mediterraneo, hanno accelerato. Hanno puntato su innovazione e numeri. Noi, invece, siamo rimasti un pò fermi — forse troppo.

C’è anche un discorso culturale. L’olivicoltura in Italia è fatta spesso da piccoli produttori, con appezzamenti minuscoli, strutture datate, e una burocrazia che non aiuta di certo. Non è solo un problema di agricoltura, però. Anche l’industria dell’olio ha perso mordente, senza rinnovarsi davvero, e ora fatica a reggere il confronto con realtà molto più organizzate e moderne.

E poi c’è la politica. O meglio, l’assenza di una visione politica. I soldi ci sono, sì, ma finiscono spesso negli stessi circuiti, tra i soliti noti. Poche idee, poche prospettive. Si naviga a vista, e nel frattempo il mondo corre. Letteralmente.

Un sistema frammentato e la mancanza di visione

Uno dei nodi più pesanti è la parcellizzazione della produzione. Tanti piccoli produttori, sparsi in territori spesso difficili da gestire, non riescono a fare rete o a unire le forze. Senza cooperazione reale, la filiera si spezza e perde efficienza. E questo rende tutto più complicato, dai costi alla distribuzione.

In più, manca una strategia di lungo periodo. Si procede per emergenze, mai per visione. Non c’è un piano condiviso che spinga davvero verso la modernizzazione, la digitalizzazione o il rilancio internazionale del prodotto. E intanto, l’Italia rischia di restare indietro in un mercato che corre veloce e non aspetta nessuno.

Coppia acquista olio d'oliva (Depositphotos foto) - www.biomedicalcue.it
Coppia acquista olio d’oliva (Depositphotos foto) – www.biomedicalcue.it

Tra concorrenza e un sistema che non reagisce

A parlare chiaro è Fausto Grimelli, voce esperta del settore, che come riporta Il Fatto Alimentare non le manda a dire: il sistema italiano dell’olio d’oliva, secondo lui, è “morto”. Non è solo una battuta amara: è un grido d’allarme. Le aziende arrancano, strette tra problemi strutturali storici e una concorrenza spietata, in particolare da parte delle grandi imprese spagnole, molto più forti a livello commerciale e organizzativo.

Il vero paradosso? Le aziende italiane resistono solo perché i colossi iberici non hanno ancora deciso di entrare nel mercato interno. Se lo facessero, dice Grimelli, “verremmo spazzati via”. E nel frattempo, anche i fondi pubblici — quei 50 o 60 milioni del Piano olivicolo nazionale — vanno a finire sempre negli stessi progetti, già visti, già noti, senza nessuna spinta al cambiamento reale.